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[L'Espresso] - I palestinesi furiosi con Banksy: il muro non è un business

Updated: Nov 11, 2019

Proteste contro l’hotel aperto un anno fa dall’artista britannico a Betlemme: «È turismo dell’occupazione»

DI STEFANO LORUSSO SALVATORE DA BETLEMME    13 agosto 2018


I turisti entrano ed escono dal Walled off Hotel di Betlemme, accalcati davanti al muro di separazione. Inaugurato nel marzo 2017 su iniziativa del misterioso artista britannico Banksy, la struttura che offre ai suoi clienti “la peggiore vista al mondo” è costruita a quattro metri dal muro eretto nel 2002 in Cisgiordania da Israele. Propone ai suoi visitatori diverse soluzioni: dal dormitorio a 30 dollari per notte, alla suite presidenziale dotata di “tutto ciò di cui un capo di Stato corrotto ha bisogno” a 965 dollari.

Normalizzazione del muro. Dopo una visita alla Chiesa della Natività, scrivere degli slogan sul muro è una delle attività più richieste dai clienti dell’hotel. «Organizziamo dei tour guidati al muro su cui potete dipingere. Vendiamo anche gli spray. Disegnare dei graffiti è proibito, ma il muro è illegale in sé secondo il diritto internazionale», informa lo staff. Un gruppo di turisti americani ha appena fatto la spesa al Wall Mart, il negozio dell’hotel dove fare il pieno di spray e maschere anti-gas. Incedono in gruppo verso il muro. Una ragazza bionda col volto incorniciato da un cappello di paglia ha appena vergato uno slogan: «Blessed freedom», libertà ferita. Il suo tratto di vernice ha coperto uno dei graffiti dell’artista palestinese Taqi Aldeen, che ha ritratto Razan al-Najjar, l’infermiera ventunenne uccisa il primo giugno scorso a Gaza da un proiettile israeliano. La provocazione di Banksy non ha attirato soltanto l’attenzione dei clienti internazionali. Alcuni palestinesi lo accusano di attirare un “turismo dell’occupazione” che trasforma la realtà spietata del “muro d’apartheid” in un passatempo per turisti.

Secondo l’attivista e artista palestinese Soud Hewafi, il Walled Off hotel intensifica il processo di banalizzazione del muro. «Nonostante le buone intenzioni, i turisti vengono qui per imitare Banksy. Uno strumento di oppressione diventa così un luogo eccitante», spiega amareggiato l’artista. Sui muri dell’hotel, uno dei graffiti riproduce con stile corrosivo una battaglia di cuscini tra un soldato israeliano e un attivista palestinese col volto coperto da una kefiah. «L’immaginario simbolico riprodotto da queste immagini normalizza distorcendola l’immagine pubblica del conflitto.


La realtà è diversa e asimmetrica: noi abbiamo le pietre, loro i carri armati», analizza la giornalista palestinese in esilio Tamara Nasser. La redattrice del sito electronicintifada.net è persuasa che l’hotel «prosperi sulla violenza attraverso una performance artistica. La sofferenza dei Palestinesi non è un oggetto da osservare tra un cocktail e l’altro», spiega, pur ammettendo le buone volontà di Banksy.

Wissam Salsaa, il gestore palestinese dell’hotel, ha rifiutato di esprimersi in proposito.

«Il turismo dell’occupazione non esiste», ha dichiarato prima di sparire dietro i banconi di legno scuro della reception. Bisogna allora attenersi alla comunicazione ufficiale: «L’hotel vuole raccontare la storia del muro dai due lati e dare ai visitatori l’opportunità di capirla», si legge sul sito internet, dove si precisa che Banksy non guadagna dalle attività dell’hotel.

Gli artisti non sono i soli ad essere scontenti. Delle famiglie palestinesi hanno visto le loro piccole pensioni svuotarsi dopo l’apertura del Walled off. È il caso di Claire Anastas, proprietaria di una locanda ormai svuotata ed esausta, rinchiusa dal muro su tre lati. Dopo l’apertura dell’hotel, nessun cliente vi è più entrato.

Se alcuni degli ospiti del Walled off vogliono contribuire allo sviluppo dell’economia locale e incoraggiare i palestinesi scrivendo slogan sul muro, alcuni collaboratori dell’hotel restano perplessi di fronte a questo tipo di attivismo. Testimoniano anonimamente, per paura di rappresaglie da parte della direzione: «La maggior parte dei turisti arriva, dipinge sul muro, poi riparte. Sono attirati da Banksy, non mossi dall’indignazione», si sfogano. Secondo questi giovani palestinesi, riprodurre sui social le immagini dei graffiti sul muro contribuisce alla “normalizzazione” dell’occupazione nell’immaginario collettivo.


La posizione è condivisa da Tamara Nasser: «Si crea l’illusione dell’esistenza di una frontiera legale, che è anche lo scopo di Israele. Ma questo mostro di cemento è illegale». Il muro di separazione è lungo 712 chilometri ed è stato dichiarato illegale dalla Corte internazionale di giustizia nel 2004. L’85 per cento del suo tracciato è eretto all’interno della Cisgiordania, secondo l’Ong israeliana B’Tselem.

Spezzare la logica. L’ex sindaca di Betlemme Vera Baboun non condivide questa analisi. Il suo mandato è terminato nel maggio 2017, due mesi dopo l’apertura dell’hotel. «La sua esistenza fa capire il paradosso della situazione. Si può avere in una città normale un hotel sull’occupazione militare?», scherza restando seria. «L’immagine che più amo di Banksy è quella in cui un bambino perquisisce un soldato. Qui, assistiamo al contrario. La forza delle immagini ha spezzato e rovesciato la logica del conflitto», spiega il membro del Consiglio nazionale palestinese.

La barriera alta otto metri resta uno dei soli luoghi di espressione per gli artisti palestinesi, che non accettano volentieri la presenza ingombrante di alcuni graffitari internazionali. È il motivo per cui Soud Hewafi ha cancellato le opere dell’artista autraliano Lushsux, che aveva realizzato due grossi graffiti giudicati anti-semiti: uno del comico ebreo-americano Larry David, l’altro con Trump e Netanyahu che si baciano. «Non abbiamo bisogno di un internazionale che ci insegni come combattere l’occupazione. Lushsux ha colonizzato il nostro spazio e sfruttato l’attenzione mediatica sul conflitto per diventare famoso», accusa. Lushsux non ha dato seguito alle richieste di spiegazioni.

Attorno all’hotel costruito in zona C (sotto controllo amministrativo e securitario degli israeliani), hanno paerto molti negozi di souvenirs del muro. «La realtà è che dobbiamo tutti mangiare. Non stigmatizzo i palestinesi che cercano di guadagnare con i turisti dell’hotel», prosegue Hewafi. Nel 2017, il tasso di disoccupazione in Cisgiordania ha raggiunto il livello più alto dei 170 paesi membri dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Il 27 per cento dei Palestinesi non ha impiego. Tra i 15-29 anni, il tasso sale al 43 per cento.




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